Data Humanism. Come usare i dati per comunicare in modo efficace

04/08/2023 | 687

grafica-quadrifor_donata-columbro-01.jpgData Humanism. Come usare i dati per comunicare in modo efficace
Appunti dall’incontro con Donata Columbro
per il ciclo Morning Talks - L’arte di Comunicare, in collaborazione con Feltrinelli Education

Da molto tempo i dati sono entrati a far parte della nostra vita quotidiana. Abbiamo a che fare con loro ogni giorno, anche se spesso non ne siamo consapevoli. Il Data Humanism ci invita a considerare i dati non solo come entità astratte o strumenti tecnici, ma come parte integrante della nostra esperienza umana. Riflettere sul modo in cui interagiamo con i dati ci può aiutare a capire meglio come questi influenzano il nostro modo di comprendere il mondo. Per migliorare il nostro rapporto con i dati sembra esserci un’unica via: renderli più umani.

Ce ne ha parlato Donata Columbro, giornalista, docente universitaria e data humanizer, durante il suo incontro per il ciclo Morning Talks

I dati permeano tutti gli aspetti delle nostre esistenze, e spesso li produciamo senza nemmeno rendercene conto. I nostri telefoni, ad esempio, raccolgono dati su di noi in modo automatico e continuo (chilometri percorsi, ore di sonno ecc.). Tuttavia, è facile dimenticare che i dati in sé non hanno un significato intrinseco. Sono semplicemente numeri o informazioni grezze fino a quando non vengono interpretati e messi in contesto.

La raccolta dei dati è solo una parte del processo. Prima ancora di raccogliere i dati, c'è una decisione fondamentale da prendere: decidere cosa contare. La scelta di cosa misurare e registrare è cruciale e determina la natura stessa dei dati. Contare significa assegnare parole numeriche alle cose, creando categorie e classificazioni. Durante la raccolta dei dati, è necessario stabilire criteri comuni e definire le parole che utilizziamo per categorizzare il fenomeno che stiamo osservando.

I dati quindi non sono fatti oggettivi ma il risultato di decisioni prese da coloro che li creano, li raccolgono, li organizzano e li osservano. Ogni dato nasce dall’interazione tra qualcosa che sta succedendo e chi quell’evento ha deciso di osservarlo, misurarlo e classificarlo. È un processo descritto precisamente da Anne Beaulieu e Sabina Leonelli nel loro libro Data and Society. Le esperte parlano di datificazione, cioè la trasformazione di qualcosa in dato, in questo processo quello che conta è il prendersi cura dei dati che si producono, dando un senso alle osservazioni.

I dati non esistono autonomamente, sono prodotti dagli esseri umani, anche se raccolti tramite strumentazioni digitali. C’è una relazione intrinseca con le persone che li creano e li utilizzano. La digital humanist Johanna Drucker è arrivata a proporre di chiamarli capta, anziché data, per sottolineare come dietro ogni dato c’è una raccolta che è la conseguenza delle scelte di qualcuno.

È fondamentale comprendere che la rappresentazione dei dati non è neutra. Anche chi porta i dati ha un'opinione, e userà i dati per confermarla. Ci sono dei bias che vanno considerati sempre e comunque trattandosi di esseri umani. Siamo emotivi di fronte al dato, chi ce lo presenta spesso influenza la nostra opinione in merito, e allo stesso modo chi li raccoglie può scegliere di ometterne alcuni quando ce li presenta. Le infografiche, ad esempio, possono trasmettere informazioni diverse pur utilizzando gli stessi dati di base. È buona prassi fornire contesto e informazioni aggiuntive quando si presentano dati, e adattare la loro esposizione al medium e al pubblico di riferimento.

La fiducia cieca nei dati può essere dannosa, poiché i dati possono essere manipolati e utilizzati per raccontare una visione distorta del mondo. Nel suo saggio

Armi di Distruzione MatematicaKathy O’Neal espone i rischi di questa fede che ha ben poco di razionale, mostrando come non ci aiuta a comprendere il vero stato delle cose. È importante riconoscere che un singolo dato non racconta mai tutta la storia e che i dati si portano dietro i bias di chi li ha raccolti oltre ai loro limiti intrinseci.

Il Data Humanism ci invita a considerare i dati come qualcosa di più umano che tecnico. Ci incoraggia ad adottare un approccio onesto e consapevole nella raccolta e nell'interpretazione dei dati e a utilizzare le visualizzazioni dei dati in modo chiaro e informativo. L’information designer Giorgia Lupi lo ha spiegato nel suo manifesto.

Riflettere sul ruolo dei dati nella nostra società ci può rendere più coscienti della responsabilità che abbiamo nell'utilizzarli. Possiamo imparare a considerare il contesto, le prospettive e i limiti dei dati, a evitare di cadere nella trappola della fiducia incondizionata e a utilizzare le visualizzazioni dei dati in modo accurato e onesto. Il Data Humanism ci ricorda che, dietro ogni dato, c'è un'esperienza umana e una storia da raccontare.

Qui di seguito qualche esempio di Data Humanism efficace: