Le parole. Come usare la retorica senza che nessuno se ne accorga
Appunti dall’incontro con Flavia Trupia
per il ciclo Morning Talks - L’arte di Comunicare, in collaborazione con Feltrinelli Education
Siamo abituati a pensare alla retorica come a un sotterfugio, una strategia subdola per manipolare le persone con lo scopo di ottenere un vantaggio. Possibile che la retorica serva soltanto questo? Quando vogliamo sottolineare la nostra sincerità diciamo di parlare “fuor di retorica”, “pane al pane, vino al vino”. Senza accorgercene, stiamo usando precisamente lo strumento che crediamo di rifiutare.
Con un incontro sull’arte della parola abbiamo chiuso in bellezza il ciclo Morning Talks. Ospite di questo appuntamento conclusivo: Flavia Trupia, divulgatrice, docente universitaria e scrittrice.
La Trupia ci ha spiegato che “pane al pane, vino al vino” o “parla come mangi” sono già delle figure retoriche, mostrandoci come la retorica entra nei nostri discorsi senza che ce ne accorgiamo. C’è retorica nelle nostre conversazioni quotidiane, nei gesti che facciamo parlando, nei messaggi che scriviamo ma anche nelle immagini e nei contenuti video con cui comunicano le aziende.
Il marketing in particolare ha in sé alcuni tratti tipici della retorica. La prima dote del retore è l’ascolto, diceva Aristotele, e in effetti i bravi marketer di oggi conoscono benissimo i destinatari delle loro campagne. Le marketing personas racchiudono le caratteristiche dei target di un’azienda: i gusti, lo stile di vita e le opinioni del consumatore a cui ci si sta rivolgendo.
Sempre Aristotele individuò i tre elementi costitutivi della retorica, ognuno dei quali ha dei punti di contatto col marketing odierno:
? l'ethos - la credibilità dell'oratore, vale anche per i brand, che devono lavorare sulla credibilità oltre che sulla notorietà
? Il logos - la concatenazione delle argomentazioni, deve funzionare bene e non scadere in false promesse per il consumatore
? Il pathos - la capacità di coinvolgere il pubblico, farlo ridere o piangere o farlo sentire parte di una comunità, cosa fondamentale per vendergli un prodotto
Sfatiamo un altro mito: la definizione di retorica come strategia comunicativa da attuare quando non si hanno contenuti in effetti esiste, ma non è l’unica. Il significato originale di retorica è “arte della persuasione”. È vero che la manipolazione passa anche per la persuasione, ma persuadere non vuol dire per forza manipolare. Quest’arte nasce nel 500 A.C., a Siracusa, con la figura del logografo, cioè colui che si occupava di scrivere i discorsi dei cittadini da presentare in tribunale.
Nella nostra vita di tutti i giorni forse non avremo a che fare con tribunali ellenici ma sicuramente ci sarà capitato di dover fare un discorso in pubblico. Purtroppo la retorica non si insegna a scuola, ma per fortuna Flavia Trupia ci è venuta in aiuto con qualche consiglio pratico per non arrivare impreparati quando ci sarà l’occasione di presentare uno speech.
La durata
Il metodo che ci è stato fornito si adatta a reel di un minuto come a discorsi più lunghi. In generale dobbiamo partire dandoci sempre un tempo preciso per il nostro discorso, provando a non andare mai oltre i 20min consecutivi.
La tesi
Cos’è che vogliamo veramente dire con il nostro discorso? La tesi perfetta sta in una frase e il consiglio è quello di metterla su carta per darle dei contorni definiti. Un discorso efficace parte proprio dalla tesi: ditela subito al vostro pubblico, e anticipate che verrà dimostrata presto. Promettere qualcosa all’inizio dello speech servirà a mantenere alta l’attenzione del vostro pubblico fino alla fine.
Gli argomenti
La ricerca di argomenti per un discorso in retorica si chiama inventio. La parte successiva del processo è l'elocutio, ovvero l'aggiunta di figure retoriche che rendono il discorso più chiaro e coinvolgente. Si tende a credere che le figure retoriche siano le parti più inutili dei discorsi, in realtà sono quelle che si ricordano più facilmente.
La partenza
Iniziare un discorso è difficile. Per combattere ansie, tremori e balbettii, un rimedio è quello di parlare in piedi, avremo così la sensazione di sovrastare il nostro pubblico. Piazziamoci al centro della scena, sorridiamo e guardiamo negli occhi gli spettatori, uno per uno. Solo dopo averli “timbrati” tutti con lo sguardo, cominciamo.
Gestire la platea
Le figure retoriche mantengono alta l’attenzione del pubblico, un altro strumento utile è quello delle espressioni metalinguistiche, cioè tutte quelle che introducono e commentano gli argomenti che stiamo esponendo (“abbiamo detto che”, “stiamo parlando di” ecc.).
Ricordiamoci che la platea perfetta non esiste, quindi non odiamo il nostro pubblico, anche se sembra distratto o addirittura scontroso. Gli spettatori vanno sedotti, ai meno attenti ci si può rivolgere singolarmente per scongelarli. I disturbatori, invece, vanno neutralizzati il prima possibile. Per farlo gli si può mettere contro il resto della platea, che sicuramente non sarà contenta di loro (“interessante, ma mi sembra che così stiamo andando un po’ fuori strada. Voialtri, che ne dite? Magari ci torniamo dopo”).
L’arrivo
Molti fanno l'errore di non "atterrare" con la voce a fine discorso, di concludere con un'intonazione che non fa intuire che il discorso è finito. Si deve capire che stiamo finendo. Se sbagliamo l'intonazione della frase finale possiamo fare una pausa, abbassare lo sguardo poi rialzarlo e ringraziare, si capirà che abbiamo raggiunto la conclusione.
Bonus: sorridete!
A nessuno fa piacere ascoltare un oratore imbronciato o impaurito. Se ci mostriamo positivi, il nostro discorso ne beneficerà.